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CULTO DEI MORTI

Il Giudaismo
Per il Giudaismo è centrale l'idea della salvezza, anche se soggetta ad evoluzione. Il vero problema, da un punto di vista religioso, dovrebbe riguardare non tanto la morte, ma ciò che avviene dopo di essa. Però, per gli ebrei, anche oggi, non è così. Si privilegia la vita, una vita saggia e felice; sul "poi" la freccia oscilla incerta. Le porte dell'aldilà ci sono, ma immettono nello sheol, il soggiorno dei morti, dove tutti ci daremo appuntamento, ma dove Dio non arriva. Per concepire un luogo del genere, occorre ammettere che l'uomo sia in possesso di qualcosa che vada al di là della morte. Questo "qualcosa" che sembra sopravvivere non è l'anima (nephes), che è il principio della vita, l'"io". Quando l'uomo muore, la nephes ritorna a Dio o sparisce? Sparisce. Date tali premesse, per l'ebreo lo scopo dell'esistenza è di vivere onestamente, secondo la legge e le sante tradizioni, indipendentemente da possibili premi o castighi. È più importante agire che credere: l'ebreo non si preoccupa di fissare troppi principi di fede; mira a mete pratiche, attuando la carità e la giustizia. Il passaggio dal "qui" ad una salvezza aperta al "là", che sopprima lo sheol, è la svolta più strabiliante dell'ebraismo. Però, si tratta di uno sviluppo lento e complesso. Dove vanno i morti una volta sepolti? Giacobbe prima di morire esclama: "Ora sto per raggiungere i miei antenati" (Gen 49, 29-33).
Così è di Abramo: "Andrai in pace presso i tuoi padri" (Gen 15, 15). Nella diatriba con i sadducei, negatori di ogni sopravvivenza dopo la morte, Gesù riprende questo filone, ricordando: "Non avete letto quello che vi è stato detto dal Signore "Io sono il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe"? Non è il Dio dei morti, ma dei vivi" (Mt 22, 31-32). Nella tradizione ebraica è vivissima la "memoria". Il verbo "ricordare" si ripete molto. È nello stile biblico che un evento importante (ad esempio, la liberazione dall'Egitto) debba essere ricordato con riti che lo perpetuano nel tempo. In questo contesto va vista l'istituzione dell'eucaristia da parte di Gesù ("Fate questo in memoria di me"). Finché c'è qualcuno che si ricorda di noi si è in un certo senso presenti. Così morire è venire meno nella memoria di Dio; ma, quando Egli si ricorda, qualcosa avviene sempre. Seppellire i morti con rispetto e' una Mitzvah. Il Talmud include l'accompagnamento di un defunto tra gli atti, il cui compimento riceve ricompensa sia in questo mondo che in quello a venire. Per quanto riguarda la responsabilità della sepoltura, essa incombe ai figli o al coniuge. Genesi 23 e' il primo riferimento biblico a una sepoltura. Questo passaggio sottolinea quanto era importante per Abramo acquisire un posto per seppellire Sarah e come lui stesso si occupò di tutto. Se il defunto non ha ne' figli ne' coniuge, questa Mitzvah incombe ai parenti piu' prossimi. Se non ve ne sono, questo dovere cade sulla comunità. Il servizio funebre e il seppellimento non devono essere ritardati senza motivo. Il principio e' di procedere al servizio funebre e alla sepoltura appena possibile (in generale due o tre giorni dopo il decesso). Le sepolture non possono aver luogo ne' di Shabbat ne' nei giorni di festa (cfr. E 2). Fuori Israele gli ebrei ortodossi e alcuni ebrei liberali osservano un secondo giorno di festa, per questo se ne terrà conto e verrà consultato il rabbino. Bisogna espletare le disposizioni funerarie con semplicità e dignità, infatti, è usanza utilizzare una semplice bara di legno bianco e di non mettere ne' fiori ne' corone, è una Mitzvah esprimere simpatia verso il defunto compiendo un gesto di Tzedakah in sua memoria. Nell'avviso funebre le famiglie possono esprimere il desiderio che delle donazioni siano indirizzate a opere di loro scelta.La famiglia incontrerà il rabbino per mettere a punto i dettagli del servizio funebre e se desidera che una persona particolare prenda parte al servizio, si deve consultare il rabbino. Parlare del defunto in termini elogiativi e' una Mitzvah. L'orazione funebre e' una pratica antica gia' menzionata dalla Bibbia (2 Samuele 1:17-27 e 3:33-34). In epoca talmudica era pratica corrente: ascoltando l'orazione funebre si può sapere se il defunto avrà diritto alla vita eterna o no (B. Shabbat 153a). Saranno consultati i membri della famiglia per avere una idea piu' esatta della vita del defunto e non per non commettere errori.. Nelle comunita' ortodosse e' usanza abbreviare il servizio e alcuni non pronunciano orazioni funebri il venerdì mattina, la vigilia delle feste e durante Hanukah, Purim e il giorno di Rosh Hakhodesh. Nelle nostre comunita' l'elogio funebre e' sempre pronunciato e il rito non e' abbreviato.Assistere al servizio funebre e' una Mitzvah. Si chiama Halvayat hamet (accompagnamento del morto - cfr. K 1), a meno che la famiglia desideri che la sepoltura avvenga nell'intimità'.I servizi funebri si tengono nella abitazione del defunto (levata del corpo), sulla tomba o nell'oratorio del cimitero. La pratica più estesa e' quella della inumazione del corpo. Il testo biblico ricorda che il nostro corpo deve disintegrarsi naturalmente: polvere sei e alla polvere ritorni (Genesi 3:19). In epoca biblica si seppellivano spesso i defunti in nicchie scavate all'interno di caverne come fece Abramo o sui pendii (Genesi 23, Isaia 22:16, m. Baba batra 6:8). In epoca post-mishnaica i rabbini dichiararono che la sepoltura in terra era il modo corretto e tale e' diventata la norma (c.a. Yore deah 362). Ma la sepoltura in un loculo e' esistita da sempre. Per questo nelle nostre comunita' e' accettato la sepoltura in un mausoleo o in un colombario dopo l'incenerimento. Il corpo del defunto deve, se possibile, essere seppellito in un cimitero ebraico o nel settore ebraico di un cimitero municipale. L'ebraismo liberale ammette che i congiunti non ebrei siano sepolti in cimiteri o mausolei ebraici. Verrà chiesto allora che nessun servizio religioso non ebraico venga celebrato e che non sia posto in loco nessun simbolo non ebraico.L'ebraismo liberale non esige la presenza di un minyan (gruppo di 10 persone). Secondo la concezione ortodossa il Minyan (10 uomini ebrei) e' necessario per la recita di alcune preghiere, come il Kaddish. Nelle comunita' liberali nel minyan contano anche le donne. Il Kaddish deve essere recitato dai figli, dal coniuge o dai genitori del defunto. Gli altri membri della famiglia e gli amici possono unirsi alle persone in lutto durante la recitazione. Se il defunto non ha parenti, il Kaddish può essere recitato dagli amici o dal rabbino. La famiglia e gli amici buttano tre palate di terra sulla bara e, generalmente, rimangono presso la tomba fino a quando la bara non sia completamente ricoperta di terra. É permesso l'uso di un loculo quando questo e' previsto dalla legge civile o dai regolamenti locali. Non si deve impedire ai bambini di assistere ai funerali., ma nel dubbio, si può consultare il rabbino. Inoltre, bisogna rispondere alle domande dei bambini riguardo alla morte, i servizi funebri e la sepoltura, aiutandoli così, ad affrontare la realtà della morte e ad accettarla.Pronunciare il rituale per ogni ebreo e' una Mitzvah. La Mishnah afferma che per colui che pone fine ai suoi giorni volontariamente e coscientemente non si ha l'obbligo di organizzare dei funerali ne' di pronunciare una orazione funebre... (M. Semakhot 2:1). Il problema e' allora di stabilire cosa significa coscientemente. Numerose autorità rabbiniche hanno ritenuto che una persona che commette suicidio non possa essere considerata in possesso di tutte le sue facoltà al momento di questo atto, e pertanto non rientrerebbe nelle cose previsto dalla mishnah. Era quindi possibile procedere a una sepoltura rituale con tutte le preghiere e una orazione funebre.Ognuno deve essere trattato con il rispetto dovuto a ogni membro della comunita' e ha il diritto di essere sepolto in mezzo alla sua famiglia. La tradizione precisa che per un bambino di meno di 30 giorni non si deve osservare alcun rito funebre. Ciononostante ogni bambino che ha vissuto deve essere sepolto con un servizio semplice.
Se il corpo non e' stato ritrovato o identificato, o se il corpo e' stato dato alla scienza (e non restituito), un servizio funebre sara' tenuto al domicilio del defunto. La Mishnah precisa che il rito funebre deve essere rispettato nella sua iuntegralita' per colui che e' caduto in mare, che e' stato portato via dalle correnti o divorato da una bestia feroce (M. Semakhot 2: 12).Nel caso in cui il corpo non viene ritrovato, il periodo di lutto inizia dal momento in cui non vi sono più speranze di ritrovarlo. Il problema della persona dispersa riguarda anche il caso della Agunah (donna il cui marito e' scomparso e di cui non si ha alcuna notizia o che l'ha lasciata senza concederle il divorzio). Nelle nostre comunita' si considera che il periodo di lutto inizi dal momento in cui le autorità civili dichiarano una persona deceduta, allora,la vedova e' libera anche di risposarsi.

Il Cristianesimo
È nato dall'incontro di alcune persone con Gesù di Nazaret, dall'averlo seguito, ascoltato, amato, ma soprattutto dall'averlo incontrato risorto, vincitore della morte. Sin dall'inizio della sua storia, la Chiesa ha maturato la convinzione che la relazione con Gesù avrebbe portato il singolo credente a condividere anche il suo destino di vita: se Gesù è risorto e ha vinto la morte, anche coloro che sono uniti a lui un giorno risorgeranno al pari di Gesù e saranno sempre con lui. Secondo il cristianesimo, il Signore Gesù farà risorgere, misteriosamente, il corpo dell'uomo quando - secondo la sua promessa - ritornerà in questo mondo e lo rinnoverà radicalmente. Fino a quel momento, l'anima (l'"io" di una persona) di chi muore si separa dal corpo, che va in decomposizione, ma se si trova in una condizione di relazione con Gesù, raggiunge immediatamente il compimento di questa relazione, passando eventualmente attraverso un misterioso cammino di conversione e di purificazione che, nella tradizione cristiana, si chiama purgatorio. Anche senza il corpo, quindi, l'anima può raggiungere quella condizione di piena relazione con Dio che nella tradizione cristiana si chiama paradiso, nella attesa che anche il suo corpo arrivi a beneficiarne alla fine di questo mondo.Chi vive profondamente l'adesione a Signore, sente nel proprio cuore che la morte non può essere la fine di tutto ma, al contrario, l'inizio di una relazione più piena con lui, ad un livello radicalmente superiore rispetto all'attuale. Nella tradizione cristiana si parla anche della realtà dell'inferno, una condizione di vita - o meglio di non vita - nella quale l'uomo resta privato per sempre della relazione con Dio e con gli altri, e si trova quindi in una condizione di spaventosa solitudine e sofferenza. Molti si chiedono come questa dottrina sia compatibile con la bontà di Dio e la sua paternità: è indiscutibile che l'uomo possa venir meno alla relazione con Dio e decida quindi di isolarsi rispetto a lui, ma non si capisce facilmente come Dio, se è veramente buono, non possa concedere all'uomo la possibilità di ritornare nella relazione con lui anche dopo la sua morte e, dunque, di entrare in paradiso. Al culto dei morti è collegata l'idea della sopravvivenza dopo la morte. Ma che succede dopo la morte? La paura della morte non è,infatti, una generica paura umana. Occorre distinguere la paura psicologica dalla paura culturale: un conto è il cosiddetto istinto di conservazione, un sentimento naturale che ci porta a fuggire i pericoli, e un altro una cultura che insegni ad aver paura della morte, anzi a dover aver paura della morte.I morti esistono dunque soltanto per i vivi: sono i vivi a dar vita ai morti per le loro esigenze. I morti possono esistere come esseri ben identificati (gli antenati) con i quali stabilire un rapporto che, se corretto, va a tutto vantaggio dei vivi; oppure possono essere considerati, collettivamente al fine di significare l'extraumano negativo, il male. E' il pericolo del "ritorno dei morti" inteso come ritorno irrelato di ciò che è passato per sempre e che ora minaccia di travolgere, rendendola morta, ogni forma culturale. Questi morti sono minacciosi, fanno paura. La ricerca che caratterizza il Cristianesimo è la salvezza della vita dopo la morte. La salvezza cristiana è una salvezza positiva, è la salvezza dalla morte intesa come salvezza dalla morte eterna: la morte fisica non è la fine di tutto ma l'inizio di una vita eterna. La salvezza del Cristianesimo è dunque il frutto di una storia originale e rivoluzionaria rispetto alle culture precedenti. Ma parlare di morte, e soprattutto reagire alla perdita di una persona presuppone anche un separare, un distinguere nell'attribuzione dei livelli di appartenenza a un'umanità vivente, che non sono eguali per tutti. Ebbene, la costante che soggiace a tutti gli altri problemi della condizione umana non è altro che la morte.La morte è costantemente presente dappertutto e in ogni momento come la trama oscura della condizione umana.
Certamente l'uomo, incapace di esorcizzare la morte, fa tutto il possibile per non pensare a essa, benché vi risuoni con maggiore intensità la chiamata del Dio vivente. È il segno permanente dell'alterità divina, poiché soltanto chi chiama dal nulla all'essere può dare la vita ai morti. Nessuno può vedere Dio senza passare attraverso la morte, questo luogo ardente dove il Trascendente raggiunge l'abisso della condizione umana. Soltanto il Dio amore è il vincitore della morte, e solamente con la fede in lui l'uomo è liberato dalla schiavitù della morte. Il roveto ardente della croce è così il luogo nascosto dell'incontro: il cristiano vi contempla "colui che hanno trafitto" e ne riceve "uno spirito di grazia e di consolazione" (Gv 19,37; Zc 12,10). La testimonianza della sua nuova esperienza sarà quella del Cristo risorto, vincitore della morte attraverso la morte. Il dialogo interreligioso riceve allora senso nell'economia della salvezza: non si limita a continuare il messaggio dei profeti e la missione del Precursore, ma si fonda sull'evento della salvezza compiuto da Cristo e tende al secondo avvento del Signore. La relazione con Dio in Cristo avrà il suo compimento nella vita eterna, alla quale parteciperà anche il nostro corpo. È nella tradizione cristiana che l'oltre la morte prende la forma della miglior vita, della vita eterna. In Cristo la morte è vinta, nel Cristianesimo non si muore più veramente.La vera morte è la morte eterna, la dannazione. Nelle società contemporanee, la vita si difende dalla morte, rimuovendola, fino ad ignorare il morente. Ma la morte non si può cancellare, si può non farla apparire.Nella morte in qualche modo si è sempre soli, ma questo non è di per sé un danno. Molto importante è il rapporto tra l'individuale e il collettivo, perché riguarda proprio il modo del vivere la morte, il vissuto della morte, che non è stato sempre uguale, nelle epoche del mondo, e non è uguale nelle diverse civiltà del mondo, perché il tema della individualità, della morte come morte solo mia, è abbastanza recente rispetto alla storia dell'umanità, nel suo complesso, perché nelle società arcaiche la morte era un fatto collettivo, per il semplice fatto che la società era più integrata. Nelle società arcaiche si viveva insieme, si stava insieme, c'era una continuità di spazi, di ritmi di vita. Era difficile, in quelle società, cercare e trovare la solitudine, c'era un'interazione continua; e quindi la morte certamente era patita dall'individuo, ma era patita anche e soprattutto dalla comunità. In pratica, la comunità viveva la morte di un suo membro come una perdita, come una perdita radicale, come una ferita. E si risarciva. Infatti, proprio nei momenti di morte - i rituali di morte sono nati così -, la comunità si stringeva.E anche nelle società più recenti, dove ci sono residui arcaici, nella morte c'è il dare, il portare il cibo ai parenti, in cui c'è stato l'avvenimento mortuario, le visite, cioè tutti i fenomeni che sono presenti nella nostra società molto meno di quanto non lo fossero nelle società arcaiche, dove tutta la società si stringeva a comunità nei confronti della morte. E anche il rapporto con colui che moriva era un rapporto diverso da come lo concepiamo noi oggi, per questo la morte è un fatto naturale: si torna alla terra. Ecco, nelle società arcaiche questo non era poi così vero, nel senso che la morte non era concepita in modo molto naturale. Nello svolgimento della modernità c'è stata sempre di più una personalizzazione della morte. La morte è diventata sempre di più una esperienza individuale. Ma già nei secoli cristiani c'è una individualizzazione della morte, nel senso che il soggetto che muore, è lui che è destinato alla salvezza o alla dannazione, è lui il titolare, e quindi l'elemento della propria salvezza e il protagonismo quindi nella morte, nel Cristianesimo diventa molto importante, anche se pur sempre resta la comunità. Il desiderio di sacralizzare la morte, e soprattutto nella società cristiana.E anche nelle società più recenti, dove ci sono La parola "sacro" significava moltissimo, dove, nel momento della morte, non c'era la fine di tutto, ma c'era sostanzialmente un "a rivederci", un ritrovarsi - e nella liturgia cristiana lo si dice -, in patria. Quindi c'era il dolore di un congedo momentaneo, e quindi il dolore della morte, il trauma era molto forte, però c'era pur sempre la speranza di rincontrarsi. Allora, nella società cristiana, la sacralizzazione della morte avviene così. Nel cristianesimo, dunque, l'uomo è responsabile di se stesso nel modo più pieno: con la sua libertà egli può rovinare il meraviglioso progetto di amore che Dio ha su di lui. Resta comunque il fatto che Dio continua a lottare con tutte le sue forze perché il suo progetto di salvezza non fallisca per nessuno e ogni uomo possa affrontare la morte nella relazione con lui.

L'Islamismo
Il rapporto reciproco tra Fede e pratica in Islam, comporta vivi riflessi su tutta quanta la religione e manifesta la profonda sapienza dei suoi insegnamenti. L'Islam non riconosce nessun genere di separazione fra l'anima e il corpo, lo spirito e la materia, la religione e la vita quotidiana. Esso accetta l'uomo nel modo in cui DIO ha creato e riconosce la sua natura così com'è, composta di anima e di corpo. Non ne trascura la natura spirituale; altrimenti l'uomo sarebbe come un animale. Ma l'Islam non sottovaluta nemmeno le necessità fisiche dell'essere umano; altrimenti l'uomo sarebbe un angelo, cosa che invece non è e non può essere. Secondo l'Islam, l'uomo si trova al centro della corrente della creazione. Non è puramente spirituale, perché gli esseri puramente spirituali sono gli angeli, e lui non ne è al di la, perché l'Unico Essere che ne sia al di là è DIO, solo DIO. L'uomo non è interamente un essere materiale o fisico, perché i soli esseri di questo genere sono gli animali e altre creature irrazionali. Così, essendo una sorta di natura complementare, l'uomo ha esigenze parallele e necessità parallele: spirituali e materiali, morali e fisiche. La religione che può aiutare l'uomo e può portarlo vicino a DIO è quella che prende in considerazione tali esigenze e necessità, quella che eleva la dimensione spirituale e disciplina i desideri fisici. Questa religione è l'Islam.
L'orazione a DIO per il Musulmano defunto è un dovere che incombe sulla comunità nel suo insieme (fard kifaya).Ciò significa che alcuni Musulmani devono eseguire questa orazione: è sufficiente che essa sia eseguita da alcuni dei Musulmani presenti alla circostanza, perché gli altri Musulmani siano esentati da tale responsabilità. Quando un Musulmano muore, tutto il suo corpo, a cominciare dalle parti sottoposte ad abluzione (wudu), deve essere lavato due o tre volte con sapone e con qualche altro detergente o disinfettante e purificato da tutte le impurità visibili. Quando il corpo è stato completamente pulito, lo si avvolge con uno o più lenzuola di cotone che ne ricoprano tutte le parti. Il cadavere viene poi collocato in una bara e trasportato al luogo dell'orazione: una moschea o un altro luogo pulito, a questo punto il cadavere viene disposto in maniera che abbia il viso rivolto verso la Mecca.Tutti coloro che partecipano all'orazione devono compiere un'abluzione, sempre che non si trovino già in stato di purezza rituale.
L' Imam sta in piedi vicino al cadavere, col viso in direzione della Mecca, mentre gli altri stanno dietro di lui disposti in file ordinate. L'Imam alza le mani fino alle orecchie e dichiara a bassa voce la propria intenzione di pregare DIO per quel particolare defunto, poi dice "Allah akbar"(Iddio è il più Grande). Gli oranti seguono la guida dell'Imam e, dietro di lui, mettono la loro destra sulla sinistra, sopra l'ombelico, come nella altre orazioni. Poi 1'Imam recita a bassa voce quello che è ordinariamente recitato nelle altre orazioni, ossia la "Thana" e la Fatiha, soltanto. A questo punto egli dice "Allahu akbar" senza sollevare le mani e recita la seconda parte del Tashahhud (da "Allahumma salli ' ala Muhammad" fino alla fine).Quindi pronuncia il terzo takbir ("Allahu akbar") senza sollevare le mani ed eleva la propria supplica (Du'a') con le parole più opportune. Si ha poi un quarto takbir ("Allahu akbar"), pronunciato senza alzare le mani e seguito da un augurio di pace finale, a destra e a sinistra come nelle altre orazioni. Bisogna ricordare che gli oranti schierati nei ranghi seguono la guida dell'Imam passo per passo e recitano ciascuno per conto proprio, a voce bassa, le medesime formule. Quando l'orazione è terminata, il cadavere è calato nella fossa, col volto nella direzione della Mecca.Mentre il cadavere viene calato giù, si dicono queste parole:Bismillahi wa billahi wa ' aLa millati rasuli Llahi, salla Llahu 'alayhi wa sallam."Nel Nome di DIO e con DIO e secondo la Sunna ("consuetudine tradizionale") del Messaggero di DIO, sul quale siano le benedizioni e la pace di DIO". Oltre a questa, si possono recitare altre preghiere adatte alla circostanza. Se il defunto è un ragazzo che non abbia raggiunto l'età della pubertà, la preghiera è la stessa, salvo che dopo il terzo takbir e in luogo della lunga supplicagli oranti recitano queste parole:"Allahumma 'j'alhu lana faratan wa-j'alhu lana dhukhranwa-j'alhu lana shafi'an wa mushaffa'a." O DIO, fa di lui (o di lei) il nostro precursore e fanne un premio e un tesoro per noi; fanne un patrocinatore per noi e accetta la sua intercessione". L'orazione funeraria è eseguita tutta quanta nella posizione eretta. Quando passa un corteo funebre, di un Musulmano o di chiunque altro, ogni Musulmano deve stare in piedi, in segno di rispetto per il morto. L'uomo lava l'uomo e la donna lava la donna. Una donna può lavare suo marito; un uomo o una donna può lavare i bambini. Durante il bagno, le mani di colui che lava il cadavere debbono essere coperte da un paio di guanti o da un tessuto; le parti private del morto devono essere lavate senza essere viste. La tomba deve essere scavata e contrassegnata in maniera semplice. Il cadavere deve essere coperto con tessuto di cotone bianco di fattura ordinaria. Ogni stravaganza nell'approntamento del sepolcro o nella vestizione del cadavere con abiti raffinati non è islamica. Si tratta invece di inutile vanità, di uno spreco di beni che potrebbero essere usati in molte maniere più utili. La consuetudine di alcuni Musulmani nordamericani di offrire un banchetto abbondante e costosa in occasione del funerale di un defunto è anch'essa non islamica; è un irresponsabile dispendio di denaro e di energie che potrebbero essere di grandissimo vantaggio qualora impiegati diversamente. Il modo naturale e logico è dunque quello proposto dall'islam. Essendo la sua una natura complementare e situandosi egli al centro della corrente del creato, l'uomo sarà preda di un grave disordine se trascurerà la sua anima o il suo corpo o se permetterà all'uno di prevalere sull'altra. Nutrire ambedue, alimentarli in maniera giusta ed equilibrata, è il compito più difficile per il senso di giustizia dell'uomo e per la sua integrità, così come per la sua volontà e il suo amore per la verità. E' proprio per aiutare l'uomo a superare questo esame, che l'Islam è venuto a riscattarlo con i regolari esercizi della Fede.

Il Confucianesimo
Considera la vita umana come l'armonioso complesso risultante dalle singole attività degli uomini, per le quali detta le norme, affinché corrispondano al bene e alla giustizia. Eppure, a Confucio non interessava tanto il rapporto degli uomini con le anime dei defunti (non esiste nel canone una "teologia dell'aldilà"), quanto il fatto che in tal modo l'unità della famiglia (e quindi della nazione) restava salvaguardato.Il rito del culto degli antenati, è la fonte di tutte le religioni cinesi, esso doveva servire per tenere unita la famiglia, la società e lo Stato: incombeva, insomma, dare agli uomini il senso di appartenere a una collettività molto vasta, forte e compatta, insegnando loro le virtù. Questo culto fu introdotto all'inizio della dinastia Chou (1122-256 a.C.) e Confucio non fece altro che divulgarlo.Ai suoi tempi gli antenati non erano più divinizzati, ma semplicemente venerati. Il culto era eseguito dai capifamiglia (o dai capi-clan).A fondamento del culto sta la pietà filiale prolungata oltre la morte.Il fine è quello di mantenere viva la coscienza di appartenere a un gruppo molto più vasto di quello che si vive sulla terra.Ogni famiglia aveva un proprio tempio (ogni gruppo familiare uno per il capostipite, e così via, sino agli antenati dell'imperatore).Al suo interno vi erano delle tavolette geroglificate, conservate in piccole teche: ognuna di esse rappresentava un antenato.Le cerimonie erano compiute in momenti particolari (nascita, morte, matrimonio, ecc.), oppure quando si doveva chiedere consiglio assistenza per poter prendere importanti decisioni. Ancora oggi i funerali cinesi sono molto meticolosi e ritualizzati, ma non lugubri.Sulla tavoletta, di solito, viene incollata la foto del defunto e scritto il nome con l'indicazione dell'età e dello status sociale che aveva avuto in vita.I cibi, offerti in maniera simbolica, sono consumati dagli stessi donatori in un secondo momento.Non mancano corone di fiori, incenso, candele, lanterne di carta e rozzi sai con cappuccio indossati dai parenti del defunto.Per i confuciani, una persona quando muore ha l'anima che si separa in tre parti: una sale in cielo, la seconda rimane nella tomba per ricevere sacrifici e offerte di cibo, la terza viene localizzata nella tavoletta del tempio. Quest'anima può trasformarsi in uno spirito buono o cattivo: la sua sorte è decisa dal suo passato e dalla sollecitudine con cui i parenti ne onorano la memoria. Quindi più sontuose sono le cerimonie funebri e i riti commemorativi e più aumentano le probabilità che egli divenga uno spirito buono e di conseguenza benefico per i vivi.

Il Buddismo
Per il Buddismo, la vita è sofferenza: il dolore costituisce l'essenza più profonda della vita umana dalla nascita alla morte, e la morte non rappresenta in alcun modo la liberazione dal dolore, poichè, conformemente alla concezione fondamentale del pensiero indiano, l'uomo è soggetto, come tutti gli esseri, al flusso inarrestabile delle rinascite, reincarnandosi continuamente in corpi sempre diversi. Anche gli dei, che pure apparentemente vivono in suprema beatitudine, non sfuggono alla suprema legge dell'universo, all'incombere della morte e alla possibilità di reincarnarsi in un essere inferiore: essi sono privi di ogni capacità di influire fattivamente sul destino degli uomini, le cui preghiere e sacrifici si rivelano assolutamente inefficaci, meramente utili a perpetuare, con la speranza illusoria nel valore delle azioni, la sottomissione a un karma di dolore. L'illusione domina ancor più beffardamente le stesse divinità che, inconsapevoli della realtà incombente anche su di loro, non avvertono neppure la possibilità di raggiungere la salvezza autentica per mezzo dell'illuminazione: solo gli uomini, vicini come sono alle manifestazioni più concrete del dolore, possono sperare di prendere coscienza delle sue cause e di ottenere l'illuminazione unica e definitiva che ponga fine al ciclo infinito delle rinascite.Il fine ultimo dell'uomo che segua il cammino di salvezza suggeritogli dal Buddha è il raggiungimento della condizione suprema del nirvana, l'estinzione di ogni desiderio e la libertà da ogni forma di condizionamento materiale e psicologico: ottenuta questa illuminazione interiore, il saggio prosegue il cammino della sua esistenza terrena disfandosi gradualmente del carico del karma che lo lega al corpo materiale e preparando la strada alla liberazione definitiva, la condizione del parinirvana, l'annientamento totale che coincide con il momento della morte. Raggiungibile teoricamente da tutti i fedeli, questa condizione di beatitudine eterna è posta più realisticamente, già nella prima fase dello sviluppo del buddismo scuola, come meta principale soltanto per i membri della comunità monastica. Questi ultimi devono mirare ad ottenere l'illuminazione e a essere venerati come arhat, saggi giunti allo stato di perfezione al termine del lungo cammino sulla via dell'Ottuplice sentiero.

L'Induismo
Non tende ad imporre dogmi, ma piuttosto a dare un significato religioso all'esistenza. Infatti, predica l'amore verso tutto ciò che è vivente, ma con l'unica venerazione del divino. Il mondo dei sensi non è altro che Maya, cioè illusione, e l'individuo deve lasciarlo per ricongiungersi col divino: per fare ciò è necessario che, la catena di nascite e morti, che lo unisce al Maya, sia spezzata. L'esistenza umana è coinvolta nel ciclo inarrestabile delle rinascite, reso possibile dalla trasmigrazione delle anime, che alla morte dell'individuo si reincarnano nel corpo di un altro essere vivente, in un processo eterno conosciuto come samsara. Ogni uomo è destinato a reincarnarsi in un essere di qualità superiore o inferiore secondo i meriti accumulati nell'esistenza attraverso l'insieme delle sue azioni, il karma, realtà tendenzialmente negativa, ma indirizzabile verso un fine positivo per mezzo di pratiche di devozione e di espiazione che trovano il loro vertice nelle forme di ascetismo volte a ottenere la "liberazione" - moksha - dall'attaccamento alla realtà materiale.Nei concetti essenziali di samsara, karma e moksha, la tradizione indiana sintetizza i contenuti essenziali di una visione sostanzialmente pessimistica circa il valore della realtà cosmica e materiale, il cui incombere inesorabile deve essere assolutamente esorcizzato attraverso un cammino di liberazione e di rinuncia al mondo, secondo l'ideale delle numerose correnti ascetiche presenti in India fin dall'antichità. La considerazione del carattere inesorabile della dimensione materiale dell'esistenza giustifica l'altro aspetto prescrittivo essenziale dell'induismo. Questa prescrizione, solo apparentemente contraddittoria rispetto alle tendenze ascetiche, impone ad ogni fedele di assumere un ruolo preciso nella società, per portare a compimento la missione assegnatagli dal destino al momento della nascita, contribuendo a perpetuare il ciclo della storia attraverso la procreazione e a procurare il benessere materiale a sé e ai suoi simili, nella speranza di ottenere il premio delle proprie azioni nell'esistenza futura con la trasmigrazione della propria anima nel corpo di un essere di livello sociale superiore o in quello di un asceta. Gli ideali morali fondamentali sono: purezza interiore, autodisciplina, distacco dalle cose (ascesi), verità, non-violenza, carità e compassione per gli uomini. L'uomo deve staccarsi da ogni desiderio e da ogni azione per evitare di doversi reincarnare. Gli induisti, infatti, sono convinti che alla morte dell'uomo, l'anima va sulla Luna, dove è giudicata. Se è promossa raggiunge il Nirvana (paradiso), se è bocciata si reincarna in forma umana o animale (a seconda della colpa) sulla terra, fino alla successiva morte, reincarnandosi di continuo, se persiste nella colpa. Per raggiungere il Nirvana, occorrono: amor di dio, opere buone e conoscenza, oltre alla pratica dello yoga (esercizio mentale), penitenze, veglie, digiuni. Gli induisti trasformano l'eterno ricorso della vita (nascita, morte e reincarnazione) in un motivo per non desiderare. L'unico desiderio ammesso è quello di ricongiungersi col Brahman (spirito eterno). Per evitare le reincarnazioni l'uomo deve percorrere 4 stadi-tappe: 1) formazione e studio presso un guru (maestro di vita), 2) matrimonio e lavoro, 3) solitudine e relativa povertà, 4) assoluta povertà e ascesi (vivere di elemosina, accettando solo pane e cereali). Quando un induista muore, il suo cadavere è lavato, rasato e bruciato su una pira, perché deve purificarsi. Non c'è cremazione (ma inumazione) solo per bambini sotto i due anni e per gli asceti. In passato veniva bruciata anche la vedova. Oggi solo un animale e oggetti del defunto.

Il Taoismo
Si interessò più dello sviluppo personale dell'individuo che del sociale; secondo il pensiero taoista, infatti, l 'Essere é in sè perfetto. Il Tao é la legge suprema, inafferrabile, con cui l'uomo deve uniformarsi. Non esiste peraltro un giudice celeste che assegni il premio o la punizione. E' l'uomo che deve uniformarsi col cielo stesso. In sostanza il Tao parte dal presupposto che coltivando il proprio carattere interiore, si può entrare in sintonia con l'esterno. Questo è molto importante poiché di fronte ai misteri dell'Universo e alle avversità della vita, i seguaci del Tao pensano innanzitutto a fortificare il proprio carattere; essi sono disposti a considerare tutti gli aspetti di ogni eventuale problema quotidiano. Meditare o "abbracciare l'unità" è unirsi al Tao e a se stessi in uno stato di illuminazione in cui si è trasportati fuori dalla dimensione spazio-temporale. Ciò avviene perchè, come abbiamo detto, il Tao è la Vita stessa e chi riesce a raggiungere questa unione, o meglio ad identificare il proprio principio vitale, ha ritrovato in sè anche il principio vitale dell'universo e può vivere eternamente poichè, sostiene Lao-tze, non avrà più nulla da temere non essendoci più posto in lui per la morte. Le varie pratiche seguite, sia di carattere fisiologico sia spirituale nutrono lo spirito vitale e trasformano gli elementi corruttibili del corpo in sostanza immortale. Secondo i taoisti, chi fosse riuscito a raggiungere il Tao sarebbe entrato a far parte degli Immortali che essi suddividono in varie categorie. Vi sono immortali che vivono sulla terra, molto spesso isolati, non invecchiano e sono dotati di poteri magici; altri che si involano in cielo in un'apoteosi luminosa e altri ancora che solo apparentemente muoiono. Di questi ultimi si seppelliscono in realtà solo dei resti mentre il vero corpo vaga nel cosmo con gli altri Immortali: è ciò a cui si dava il nome di "liberazione del corpo mortale".Il taoismo quindi insegna ad accettarsi, ma anche ad accettare il dolore la vita e la morte, la continua trasformazione delle cose lo stato di mutabilità del mondo materiale. Per il Taoismo la salvezza è sia quaggiù che dopo la morte, e consiste nella unione tra l'uomo e il Tao, che è l'uno indistinto dell'alternarsi e compenetrarsi degli opposti (bene e male, bianco e nero, maschile e femminile) nella natura; per arrivarci deve percorre una via di intuizione di tale unità originaria mediante la meditazione e la dottrina e deve compiere determinati riti, astenendosi da ogni aspirazione cosciente e superando i condizionamenti della società che ha sempre allontanato l'uomo dalla naturalezza originaria. Gli antichi Cinesi credevano che l'uomo avesse due anime: il p'o e il hun. Dopo la morte il hun saliva al cielo, alla corte del Signore del cielo; il p'o invece abitava con il cadavere nella tomba e si nutriva di offerte fatte al defunto. Queste usanze comportavano un curato e attento servizio per il nutrimento del defunto, altrimenti questi, affamato, poteva rivolgere la sua ira verso i discendenti. Legato a questa credenza si sviluppò l'uso di seppellire schiavi, prigionieri e concubine insieme al defunto in modo che gli facessero compagnia durante il viaggio verso il cielo. Nelle tombe di An-yang, della dinastia Yin, sono stati trovati gli scheletri di oltre un migliaio di vittime con le teste tagliate e sepolte altrove: forse prigionieri di guerra. Inoltre, sembra che la ricerca dell'immortalità sia all'origine dell'alchimia taoista, di una ampiezza e di una complessità sconcertanti, poiché, il Tao, cioè la totalità assoluta, la sostanza unica in cui tutto scorre, possiede una specie di "bontà" fondamentale e uno dei grandi principi del taoismo è di agire conformemente al Tao, conformemente alla natura, fino ad identificarsi nelle sue leggi. Il seguace del taoismo vive la sua vita su di un piano concreto, ma con noncuranza. Il Taoismo dei T'ang assunse una connotazione più specificamente religiosa, distanziandosi dalle tendenze speculative delle origini; ormai si volgeva unicamente alle pratiche alchemiche dell'immortalità o ai riti cultuali, smarrendo sovente l'etica dei rapporti interpersonali.


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